Generi plurali – educare alla sessualità e all’affettività a scuola

Generi plurali

educare alla sessualità e all’affettività a scuola

Giovedì 22 febbraio 2024 ore 8.30 – 16.30

in presenza presso IIS Belluzzi – Fioravanti Via Giovanni Domenico Cassini, 3, Bologna

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SOFIA: ID – 134490


Convegno Nazionale di Formazione

Ricordiamo che il personale ispettivo, dirigente, docente e ATA ha diritto all’ESONERO DAL SERVIZIO con diritto alla sostituzione in base all’art.36 del CCNL2019/2021 (che sostituisce gli articoli 63 e 64 del CCNL 2006/2009). Il CESP è Ente Accreditato/Qualificato per la formazione del personale della scuola (D. M. 25/07/06 prot.869, Circolare. MIUR PROT. 406 DEL 21/02/06, Direttiva 170/2016-MIUR)

—> Fai richiesta alla segreteria del tuo istituto del permesso per formazione oppure utilizza il modulo in allegato alla locandina


PROGRAMMA:

8.30-9.00: registrazioni partecipanti. Introduce e coordina Valentina MillozziCESP Bologna

  • Educare all’affettività e alla sessualità: quali proposte dalla scuola che Resiste? Teresa RossanoCESP Bologna
  • Le linee guida che non guidano: le attività istituzionali per il contrasto alla violenza di genere a scuola. Giulia Selmi, Educare alle differenze
  • Genere e stress lavoro-correlato, Davide Zotti, CESP Trieste

h. 10:15 Pausa caffè

  • Scuola e società fra diritti e barriere: studenti LGBTQIA+ e prospettive per le persone trans e non binarie. Mazen Masoud, MIT– Movimento Identità Trans APS
  • Per un’educazione transfemminista: saperi e pratiche per trasformare la scuola. Non Una Di Meno Bologna

dalle 13 Pranzo a buffet


14.00-15.30 Laboratori didattici (sessioni parallele) attivabili a fronte di un numero minimo di iscritt*.

  1. Corpi indisciplinati – Scuola dell’infanzia e primaria.
  2. Il maschile da riscrivere – Tutti gli ordini di scuola.
  3. Carriera Alias e dintorni – Tutti gli ordini di scuola.
  4. Educare al Consenso – Tutti gli ordini di scuola.
  5. Persone LGBTQIA+ a scuola: analisi di casi – Tutti gli ordini di scuola
  1. Corpi indisciplinati. Educazione alla sessualità, desiderio, anatomie affettive: pratiche e approcci per un’educazione alla sessualità e all’affettività.  A cura di Samanta Picciaiola, insegnante femminista e formatrice. Scuola dell’infanzia e primaria
  2. Il maschile da riscrivere. Un laboratorio pratico per lavorare sulla decostruzione degli stereotipi e riflettere sui nuovi orizzonti delle identità maschili. Come contaminare nella vita di tutti i giorni, quindi anche a scuola, i modelli che abbiamo introiettato con parole, storie, corpi, narrazioni altre, in apertura e nella valorizzazione della pluralità delle soggettività. A cura di Maschile Plurale.  Tutti gli ordini di scuola
  3. Carriera Alias e dintorni: pratiche di autodeterminazione di genere tra politiche e percorsi scolastici. Il laboratorio presenta un quadro dei possibili percorsi di autodeterminazione di genere come le carriere alias. Uno sguardo trasversale tra politiche normative, aspetti critici e prospettive nel contesto politico attuale con particolare riferimento alla scuola. A cura di Roberta Parigiani Movimento Identità Trans e Teresa Rossano Centro Studi per la Scuola Pubblica.Tutti gli ordini di scuola.
  4. Educare al Consenso. Il consenso come centro delle relazioni nelle interazioni sociali e scolastiche. Il laboratorio promuove pratiche di condivisione e di ascolto per costruire una cultura del consenso e contrastare la prevaricazione e la violenza di genere. A cura di Non Una Di Meno Bologna.  Tutti gli ordini di scuola
  5. Persone LGBTQIA+ a scuola: analisi di casi – Nel corso del laboratorio, a partire dall’analisi di alcuni casi, ci si confronterà sulle strategie educative da adottare nel contesto scolastico per promuovere la visibilità di studenti e di tematiche LGBTQIA+ . Si discuterà, inoltre, di strategie utili ad affrontare situazioni di omolesbobitransfobia che potrebbero verificarsi a scuola. A cura di Davide Zotti CESP Trieste e Valentina Millozzi CESP Bologna. Tutti gli ordini di scuola. 

15.30 – 16.30     Restituzione e confronto in plenaria 


Il CESP è Ente Accreditato/Qualificato per la formazione del personale della scuola. (Decreto Min. 25/07/06 prot.869, circ. MIUR prot. 406 del 21/2/06 – Direttiva 170/2016-MIUR). 

La partecipazione ai convegni e seminari CESP è gratuita e dà diritto, ai sensi degli articoli 63 e 64 del CCNL 2006/2009 (tuttora vigenti), all’ESONERO DAL SERVIZIO.

Materiali legati al convegno (in corso di aggiornamento)


Intervento Educare all’affettività e alla sessualità: quali proposte dalla scuola che Resiste?

Teresa RossanoCESP Bologna intervento in pdf

Sono molti anni che si parla di educazione alla sessualità e all’affettività a scuola ma qualsiasi proposta di legge (almeno 16 dagli anni 70) è naufragata senza arrivare a compimento. Nell’ultima parte del 2023, sull’onda dei terribili stupri di gruppo di Palermo e Caivano, delle violenze e dei femminicidi e transicidi che nel 2023 sono arrivati a 120 e, in particolare quello di Giulia Cecchettin e dell’ondata emotiva e di piazza che ne è seguita, ha preso corpo la discussione sulle Linee Guida “Educare alle relazioni” del ministro Valditara. Dalla direttiva del 24/11/23, 5 brevi articoli seguiti successivamente da interviste e precisazioni del ministro, si evincono corsi di 30 ore extracurricolari per gruppi volontari di studenti, con la supervisione di docenti formati dall’Indire, previo consenso delle famiglie che intervengono nei contenuti dei corsi attraverso le associazioni che le rappresentano. Questi percorsi, solo per le scuole superiori, parlano di “cultura del rispetto e di educazione alle relazioni” per contrastare la violenza maschile sulle donne.
Cosa pensa la scuola di tutto questo? Cosa pensiamo si possa e si debba fare che cosa già facciamo noi che nella scuola ci lavoriamo?
Piuttosto che facili risposte vogliamo aprire alla discussione e alle proposte, cogliendo i bisogni espressi dal personale della scuola e da studenti, a partire dagli spazi e dai luoghi che la scuola offre, come i corsi di formazione.

Il Cesp è attivo da molti anni su queste tematiche, il nostro metodo è la formazione dal basso per promuovere buone pratiche e sapere critico.
Cosa abbiamo quindi letto fra le righe delle linee guida? Intanto che nel trattare di relazioni e rispetto fra adolescenti, la sessualità e l’affettività non vengono nominate, e neanche il consenso. Costituiscono una sorta di “fuori tema” anche se si capisce bene che si annidano in ogni dove. È proprio di questo invece che noi vogliamo parlare.
Come si fa infatti a occuparsi di relazioni con gli adolescenti senza considerare la sessualità? E soprattutto in che modo se ne dovrebbe parlare se si omette addirittura di nominare i rapporti affettivi, la correttezza nella relazione e la scoperta di sé attraverso il corpo? Nelle linee guida non ci sono i corpi e le emozioni, si parla di educazione alle relazioni in astratto. Gli/le studenti avranno modo di parlare delle loro esperienze? O la sessualità e gli amori, in tutte le forme in cui si esprimono, saranno il rimosso, tutto ciò che avviene sotto i banchi e nel tessuto profondo della vita di ciascunə che a scuola non ha spazio per dispiegarsi? La scuola, disciplinando i corpi, deve assicurarsi che tutto resti accuratamente ripiegato, esponendo solo lembi di visibilità accettabile.
Inoltre ci chiediamo perché l’educazione alle relazioni riguardi solo le superiori quando è evidente a chiunque lavori nella scuola dell’infanzia e nella primaria che l’esplorazione della sessualità è parte integrante della costruzione di sé e della relazione con il mondo fin dalla più tenera età.
Il problema piuttosto è che l’educazione sessuale a scuola si fa già … ma dove lə nostrə studenti vanno a cercare risposte?

La formazione per le persone adolescenti e anche prima, avviene in gran parte in rete, sia per quanto riguarda la sessualità sia per quanto riguarda le modalità di relazione. Questi “apprendimenti” si concretizzano in forme distorte che si materializzano sotto i nostri occhi nelle classi e negli spazi delle nostre scuole. Le vediamo in atto o ne vediamo gli effetti soprattutto quando si manifestano attraverso comportamenti che hanno come punto di arrivo la violenza. Una violenza che assume diverse forme, la chiamiamo bullismo, cyberbullismo, stalking, revenge porn, diffusione di video e foto senza consenso.
Molte sono le iniziative che la scuola assume per contrastarla. Hanno però tutte un grande limite che ne inficia l’efficacia: non tengono conto della prospettiva di genere. Il bullismo esercitato su un ragazzo che indossa una felpa rosa, su una ragazza che ti ha lasciato, su una persona trans assume connotazioni diverse delle quali bisogna tener conto per essere efficaci nell’intervenire. E tutte hanno la stessa radice nel sistema patriarcale. Senza tenere in considerazione questi aspetti non ci si rende conto di quale sia la funzione a cui questa violenza risponde e cioè che non è mai una violenza fine a se stessa ma impone un
ordine, una norma sociale, e che svolge la funzione di sanzionare e punire chiunque se ne ponga al di fuori.
Spesso lə ragazzə non si rendono conto di tutto questo, quando sono oggetto di violenza e anche quando la esercitano. Bisogna che ce ne rendiamo conto noi, che di questo stesso sistema siamo parte, attraverso un esercizio di consapevolezza a partire da noi stessə e che ne rendiamo consapevoli anche loro perché smettano di esercitarla. Bisogna anzitutto che la chiamiamo col suo nome: violenza maschile sulle donne e di genere cioè esercitata su soggettività che vengono discriminate e colpite in base al genere di appartenenza e all’orientamento sessuale.
In secondo luogo, è necessario che chiunque lavora in un contesto formativo faccia un lavoro di
decostruzione su di sé per riconoscere gli effetti che il patriarcato esercita sulla sua vita, in modo da poterli poi affrontare anche nella relazione educativa.
Come le docenti della scuola dell’infanzia sanno, i segni cominciano a comparire già dai primi anni di scuola. Vengono interiorizzati e riprodotti meccanismi che possono essere assistiti in famiglia ma soprattutto vengono respirati in società. I ruoli, gli stereotipi di genere, il sistema di valori e norme etero normative (che prescrivono la supremazia del genere maschile sugli altri generi e l’eterosessualità sugli altri orientamenti sessuali) si imparano molto presto e, per scardinare la violenza che in tutto questo si annida, molto presto bisogna cominciare a intervenire.
Ma come? A nostro parere non servono interventi emergenziali poiché pensiamo che la violenza è strutturale, che serve a mantenere un sistema gerarchico e di disuguaglianza fra i generi, che è strumento di disciplinamento, modalità per ribadire le norme e per stigmatizzare chi non si adegua.
Bisogna dunque agire in modo trasversale e continuo negli spazi curricolari, nella vita delle classi e nelle relazioni che si creano nei corridoi e nei cortili, negli spazi di apprendimento e nei momenti di gioco e scambio perché tutto questo fa parte dell’educazione alle relazioni. Nel momento in cui i corpi si incontrano, si riconoscono e si interrogano, si attraggono e si respingono. Ma dove sono finiti i corpi in queste linee guida?
Parliamo da tanti anni di educazione di genere e al genere, ci interroghiamo sui libri di testo e sulle attività che svolgiamo a scuola. Li abbiamo analizzati per far emergere il non detto, il curricolo nascosto, le zone d’ombra dove si annida una visione del mondo discriminatoria ed escludente.
Ci siamo interrogatə sul nostro modo di stare in classe, sulla relazione educativa e sul nostro corpo sessuato che ne è parte. E abbiamo preso consapevolezza che non c’è spazio di neutralità possibile, il sapere non è neutro e neanche la relazione educativa lo è.
Dietro il sapere “universale” si nasconde una visione patriarcale del mondo. Eppure la scuola continua a riproporre questo tipo di saperi in modo acritico e a promuovere e imporre modelli patriarcali di disciplinamento quando è proprio questa cultura che crea situazioni di violenza.
Quando si parla di violenza, come già detto, non si può ignorare il corpo, il “fuori tema “ per eccellenza.
Tutto il nostro ordine del discorso si basa sul binarismo mente – corpo. Il corpo entra a scuola e viene disciplinato, nella postura, nell’abbigliamento, nelle regole di comportamento. Ma viene normato anche nel non venir mai nominato, nella sua cancellazione.
Abbiamo dovuto confrontarci nel tempo con corpi che incarnano esperienze variopinte provenienti da luoghi plurali. Con l’arrivo nelle nostre scuole di studenti di altre culture la scuola si è posta il problema della discriminazione razziale (quello che aveva negato relegando nelle classi differenziali i bambini meridionali emigrati nelle grandi città industriali del nord). Abbiamo parlato di integrazione di corpi e menti “non previste” dal funzionamento delle nostre scuole. Si parla oggi a scuola di “inclusione” e di “intercultura”.
Ma da quanto tempo abbiamo iniziato a occuparci di lividi, segni di violenza sulla pelle o negli sguardi? E per quanto tempo continueremo a ignorare corpi divergenti che si vedono o si intravedono nelle nostre aule, con il loro portato di voglia di vivere, di bisogno di esprimersi e trovare cittadinanza nelle parole, nei saperi, nella vita della scuola? Abbiamo iniziato almeno a non ignorare un occhio nero, demandando magari alle forze dell’ordine. Ma è solo questo che deve fare la scuola? Quante forme di violenza hanno altri parametri di visibilità? Siamo capaci di riconoscerle? Di fronte a storie e numeri che neanche l’informazione è riuscita a relegare del tutto nella cronaca, la società si deve porre il problema. Oggi se ne parla più di ieri e infatti se ne parla anche nelle linee guida.
Attenzione però alla normalizzazione della violenza, al linguaggio usato per affrontarla. Sussumere concetti e analisi sotto categorie astratte e neutre, utilizzare termini come rispetto e relazioni senza tener conto di tutte le loro declinazioni, significa depotenziarli ed è arma subdola ed efficace. Se parliamo di violenza senza parlare dei corpi su cui si esercita, e del perché riguardi determinate soggettività e assuma determinate forme, tutto questo non serve o diventa dannoso.

Se decidiamo di accorgerci di tutto ciò che ci si mostra a scuola, vite, modi di essere, esistenze che chiedono riconoscimento, forme di esplorazione di sé, forme di violenza fisica o psicologica, il primo problema che ci si pone è quello del linguaggio, strumento immediato per entrare in relazione con questi mondi che ci si aprono davanti. Spesso, se ci mancano gli strumenti, la via più facile da percorrere è quella di restare su binari già tracciati oppure di far finta di nulla, negare, cancellare la stessa specificità di un fenomeno, di una presenza che non sappiamo collocare. Siamo gentili magari, ma non è questo il nostro ruolo.
Dobbiamo poter parlare di relazioni e di rispetto parlando di sessualità, affettività e consenso.
Di educare alle relazioni considerando i corpi e le molteplici espressioni e identità.
Fare emergere, nominare, misurarci con tutto questo.
Creare spazi di ascolto e di libertà di espressione, occasioni di confronto e di sperimentazione. Non reprimere, disciplinare, punire, umiliare. Esercitare l’attenzione sui di noi e suə nostrə studenti, attenzione negli spazi di lezione e negli spazi interstiziali, i cortili, i corridoi, i bagni.
È infatti negli spazi interstiziali che si sviluppa maggiormente la violenza, la discriminazione ed è negli spazi interstiziali delle nostre vite che la cultura patriarcale, insegnata, divulgata, imposta, si afferma nel profondo. Lì si giocano i rapporti di forza,, nel girarsi dall’altra parte, nella battuta, nel sorriso a mezza bocca. Ma si giocano anche nelle aule, durante le lezioni, nell’omettere o addomesticare le informazioni che diamo quando insegniamo. In tutti questi spazi possiamo agire, per piantare un seme che sviluppi radici capaci di farsi strada anche in una cultura patriarcale cementificata da millenni.
Agire su questo crediamo sia la via maestra, ma è una strada lunga e sappiamo di avere l’urgenza delle circostanze, delle nostre vite esposte.
Dobbiamo quindi porci domande e discuterne. Vogliamo evitare il rischio dell’improvvisazione, di una formazione poco efficace perché manca degli elementi strutturali.
È necessario che alla scuola sia garantito il pluralismo e la libertà di insegnamento, che la presenza delle famiglie con le quali da sempre dialoghiamo, non diventi, attraverso lo strumento del consenso informato, una presenza asfissiante per i ragazzi e la scuola.
Bisognerà creare reti di formazione e auto-formazione. Siamo in grado di studiare e confrontarci in modo interdisciplinare, di costruire spazi educativi a partire dalle discipline curricolari. Rifiutare la logica dell’imposizione dall’alto e creare reti fra noi e con il territorio.
Queste riflessioni sono frutto di anni di sperimentazione e riflessione per costruire una scuola aperta al sapere critico. Frutto di anni di pratiche femministe e transfemministe, di movimenti per una scuola democratica, di condivisione nelle scuole e sui territori. A questo proposito, mi chiedo cosa significherà per la scuola, nell’epoca dell’autonomia differenziata, relazionarsi con territori ulteriormente impoveriti e privati di risorse già scarse come i consultori che vengono chiusi uno dopo l’altro.
Abbiamo invitato al nostro convegno associazioni che non fanno parte in senso stretto del mondo scolastico ma che nel mondo educativo e della scuola sono presenti e si occupano nelle loro riflessioni e nel loro agire. Che sono punto di riferimento a cui spesso si rivolgono le istituzioni e lə studenti, insieme alle quali condividiamo momenti di confronto e occasioni di partecipazione alla vita culturale, civile e politica.
Se per noi parlare di educare al rispetto verso tutte le soggettività significa costruire un ambiente in cui entrano in relazione persone plurali, essere qui come interlocutrici significa poter costruire un percorso che ci coinvolge nella relazione reciproca, senza sovradeterminare nessunə.
Costruire uno spazio di parola condiviso significa anche riuscire a calibrare adeguatamente gli strumenti, fare in modo che a scuola, trovi posto quel mondo plurale e colorato che ci piace.

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