di Cristiana Fiamingo1 Nel marzo 2002, la Commissione sudafricana per la Verità e la Riconciliazione – Truth and reconciliation commission (TRC) – ha chiuso i battenti, con ritardo rispetto all’urgenza con la quale il Governo di Unità Nazionale (GNU, in carica fino alle elezioni del ‘99) aveva valutata l’opportunità di un breve e incisivo procedimento risolutivo delle gravi ipoteche sull’identità nazionale. Attraverso un laboratorio pubblico di memoria collettiva, si è tentato di realizzare un processo culturale per la rinascita morale del Sudafrica in una cultura etica pubblica, volta al totale smantellamento d’una vita sociale dominata dall’apartheid, incardinata sul pregiudizio e su quelle formule di propaganda che ne hanno a lungo nascosto le vere cause ed i devastanti effetti, superando ogni distinzione nel nome del processo di risanamento nazionale. Già il 29 ottobre 1998, l’Arcivescovo Desmond Tutu, Presidente della TRC, consegnava nelle mani dell’allora Presidente sudafricano Nelson Mandela i cinque volumi del rapporto finale, quale strumento utile a riconciliare e costruire la nazione. Sin dalla Costituzione del 1993, si mirava ad uno strumento che facesse da “ponte” in una società profondamente divisa, in un costante stato di conflittualità, di sofferenze inespresse con un futuro all’insegna del riconoscimento di diritti umani e democrazia, nello…