Insegnare il razzismo

Docenti e presidi di fronte al razzismo di Stato fascista

di Gianluca Gabrielli

Introduzione

Nel 1936 il regime fascista, al termine della conquista dell’Etiopia, vara le prime norme per separare africani da italiani nelle colonie. Due anni dopo, nell’estate del 1938, entrano in vigore le prime leggi antisemite indirizzate contro gli ebrei stranieri.

Negli ultimi anni numerosi storici si sono posti l’obiettivo di scavare nel retroterra di questi provvedimenti per comprenderne la genesi e i precedenti, con il risultato di indebolire sempre più la vecchia tesi che vedeva il razzismo di Stato fascista come mero strumento di una politica di avvicinamento alla Germania nazista, deciso dall’alto dalle gerarchie fasciste ma, proprio per questo, non radicato nella società del tempo. Oggi, tra gli studiosi, questa tesi è decisamente minoritaria e acquistano invece forza, tra gli altri, quei filoni di indagine che esplorano quello che potremmo definire “razzismo diffuso”, eleggendo a campi di studio la storia delle discipline scientifiche, delle comunità educative, la storia sociale delle colonie; fonti sempre più importanti divengono la narrativa di consumo, la pubblicistica didattica o le immagini fotografiche; i parametri temporali classici vengono forzati e le ricerche si spingono spesso a ritroso oltre il Ventennio, negli anni dell’Italia liberale.

Questi nuovi importanti filoni di studio ci permettono, forse per la prima volta, di volgere lo sguardo alla questione della ricezione che la società italiana riservò alla svolta del razzismo di Stato con la concreta possibilità di elaborare descrizioni sufficientemente articolate. Troppe volte rimozioni e negazioni preventive di un’adesione diffusa al fenomeno, magari accompagnate dall’esaltazione del caso esemplare e individuale di rifiuto, hanno svolto il compito di tranquillizzare l’opinione pubblica con una consolante assoluzione generalizzata. Così si è persa di vista la necessità, collegata all’etica e al senso del lavoro storiografico, di comprendere ciò che è accaduto nelle sue articolazioni più sottili.

Questo testo tenta di dare un piccolo contributo a questa ricostruzione in un ambito cruciale della società italiana al tempo delle leggi razziali: quello scolastico.

La mostra della razza

Il 19 febbraio 1940 il ministro Bottai scrisse a tutti i Provveditori agli studi d’Italia per comunicare che, su ordine del duce, il 21 aprile, festa del “Natale di Roma”, sarebbe stata inaugurata nella capitale la “Mostra della Razza” e che il Ministero dell’Educazione Nazionale avrebbe partecipato con “materiale atto a documentare la funzione della scuola nella politica razziale”1.

A quel tempo le esposizioni erano una forma di propaganda molto utilizzata a tutti i livelli2. Organizzavano mostre i gruppi fascisti locali e le organizzazioni di commercio, le associazioni di combattenti e i missionari. L’appuntamento di massimo livello, organizzato in pompa magna dal regime per il 1942, doveva essere l’Esposizione Universale di Roma che avrebbe presentato, attraverso un complesso articolato di mostre, la centralità dell’ “esperienza fascista nella civiltà universale”. Probabilmente fu proprio in preparazione di questa esposizione, nella quale il settore della “Sanità e della razza” si sarebbe dovuto articolare in ben quattro mostre, che il Ministero dell’Educazione Nazionale ebbe l’incarico di anticipare i tempi per uscire pubblicamente il 21 aprile 19403. I Provveditori dovevano quindi entro breve periodo informare i dirigenti e raccogliere da essi gli elenchi descrittivi del materiale che ogni scuola dipendente avrebbe proposto perché ritenuto adatto a soddisfare la richiesta.

Gli anni precedenti

Per inquadrare questa iniziativa occorre ricordare che siamo alla fine dell’inverno 1939-40, quando le iniziative fasciste sulla scuola in relazione alla campagna razzista si erano già dispiegate in maniera forte. Gabriele Turi faceva notare già anni fa che nell’autunno del 1938 il fascismo intervenne sulla scuola, sull’università e sulla cultura imponendo normative più razziste di quelle coeve in vigore nella Germania nazista. Giuseppe Bottai, già ministro in carica dell’Educazione Nazionale, era stato il più sollecito uomo di regime a prendere provvedimenti antiebraici. Nella scuola fascista le azioni di censimento e di discriminazione iniziarono infatti ancor prima che l’antisemitismo fosse divenuto legge di Stato o direttiva ufficiale del governo. Già il 3 agosto viene vietata l’iscrizione alle scuole di ogni ordine e grado degli ebrei stranieri; il 9 parte il censimento “a fini razziali” di tutto il personale scolastico e successivamente quello degli studenti: lavoratori e studenti ebrei verranno cacciati in base al RDL del 5 settembre Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista. Nell’ottobre del 1938, al Gran Consiglio del Fascismo, Bottai stesso si opporrà in maniera intransigente a qualsiasi attenuazione dei provvedimenti e la campagna antiebraica nella scuola sarà portata avanti in maniera inflessibile anche negli anni successivi.

Lo zelo di Bottai fu particolarmente efficace nell’operare nel “bonificare” il sapere scolastico del tempo da quelle che venivano definite “influenze semite”: censure e riscritture dei libri di testo4 e attiva propaganda delle pubblicazioni razziste, a partire dalla rivista “La Difesa della Razza” fino alla stampa e diffusione del Secondo libro del fascista5. Quest’ultimo è una sorta di manuale scolastico specifico sul razzismo per gli alunni delle scuole elementari e medie, che seguiva ad un anno di distanza il Primo libro… dedicato a Mussolini, alla rivoluzione fascista e alle organizzazioni di regime. Il ministero fece ingente opera di propaganda affinché si arrivasse ad una “diffusione possibilmente totalitaria dei due volumi” il cui contenuto era articolato per brevi domande e risposte secondo lo stile dei testi di catechismo di fine Ottocento. Ecco un saggio del contenuto: “D.[domanda] A quale razza appartieni? R.[risposta] Appartengo alla razza ariana. / D. Perché dici di essere di razza ariana? R. Perché la razza italiana è ariana. / […] D. Qual è la missione della razza ariana? R. La razza ariana ha la missione di civilizzare il mondo, e di farne incessantemente progredire la civiltà”; “D. Perché il Regime Fascista ha preso i provvedimenti riguardanti gli ebrei? R. I provvedimenti razziali del Regime sono stati presi per tutelare la purezza del sangue italiano e dello spirito italiano e per difendere lo stato contro le congiure dell’ebraismo internazionale”; “D. Qual è il primo dovere dell’Italiano che vive sui territori dell’Impero? R. Il primo dovere dell’Italiano che vive sui territori dell’Impero è quello di mantenere il prestigio di razza, mostrandone costantemente la superiorità agli indigeni”6.

La cancellazione delle “presenze ebraiche” tra gli educatori, tra i discenti e fin nell’interno dei sussidi didattici era così proceduta in modo spedito creando forti lacerazioni all’interno della società italiana Occorre infatti tenere presente che la scuola è un’istituzione che coinvolge già all’epoca quasi tutta la popolazione italiana in modo diretto – insegnanti, bidelli, studenti – e indiretto –famigliari dei suddetti; per cui l’impatto sulla scuola di provvedimenti simili ha una diffusione superiore di quello che avrebbe in qualsiasi altro settore della società.

Le richieste di Bottai

Torniamo alla Mostra. L’idea che ha Bottai del razzismo-scolastico è particolarmente precisa e dettagliata, dopo oltre un anno e mezzo di solerte azione persecutoria. Rimane invece da capire quali aspetti di questa azione sono ritenuti adatti ad essere mostrati in una esposizione e celebrazione pubblica. Nella medesima circolare che comunica l’organizzazione della Mostra della Razza ne leggiamo una prima sintesi nelle indicazioni su cosa da richiedere nei diversi ordini di scuola per l’esposizione.

Per la “scuola materna” occorre raccogliere materiali che

“dimostrino lo sviluppo dal Risorgimento al Fascismo, i metodi e gli aspetti della vita delle scuole materne.

Per la scuola elementare: lo sviluppo della tecnica didattica, dell’edilizia e dell’arredamento scolastico; attrezzatura ambulatoriale e assistenza igienica, sanitaria, alimentare (scuole all’aperto); sussidi didattici per la formazione della coscienza razzista;

Per la scuola media: Iniziative per la formazione della coscienza razziale; aspetti del lavoro produttivo come contributo alla sanità della razza; aspetti dell’orientamento professionale”.

Possiamo con una certa sicurezza sostenere che in queste note è racchiusa una sintesi dell’immagine pubblica del razzismo fascista promossa dalle gerarchie nelle scuole italiane: l’idea ufficiale di razzismo per il ministero dell’educazione e, di riflesso, il razzismo che fino a quel momento era stato promosso nelle aule d’Italia – accanto al “curricolo implicito” che agiva attraverso l’espulsione dei soggetti definiti “non ariani”.

Sostanzialmente i filoni argomentativi (le sezioni tematiche della ipotetica mostra) sono tre.

Il primo è quello del razzismo inteso come sostegno assistenziale e formativo alla “razza italiana”, cioè “superiore”: igiene, salute, alimentazione, edilizia e arredamento costituivano per le gerarchie un sostegno non agli individui ma alla razza, degna di tutela in quanto superiore, legata ai destini della nazione e del fascismo. Lo stesso “sviluppo della tecnica didattica” veniva fatto rientrare in questo filone quasi fosse degno di attenzione solo in quanto ausilio utile allo sviluppo culturale di soggetti che appartengono ad una “razza superiore”. Qui l’alunno è “oggetto” dell’attenzione razzista del regime.

Il secondo filone è forse quello che, anche senza conoscere nei dettagli la politica razziale del regime, appare più scontato: sussidi didattici per la formazione della coscienza razziale (o razzista). In pratica la didattica per educare da una parte al senso di superiorità e “prestigio” della propria “razza” (come recitava la legge del 1939 per le colonie); e dall’altra per predisporre e giustificare nelle coscienze la discriminazione, la separazione e la persecuzione dei soggetti definiti e indicati come “inferiori”.

Il terzo filone compare solo per la scuola media, cioè per gli studenti in gran parte prossimi all’uscita dal mondo scolastico: orientamento professionale e lavoro produttivo. La promozione del lavoro in un modello di società organicistico e razzista diviene promozione della “razza” rispetto all’individuo e dell’artificiosa armonia dei ruoli sociali interni alla “comunità razziale omogenea” in luogo del conflitto tra classi sociali (sostituito dal conflitto-guerra delle razze e dall’esclusione dei soggetti non omogenei).

Fin qui le aspettative del regime.

Cosa rispondono le scuole alla richiesta di Bottai? Quali materiali hanno da proporre per la Mostra? Le fonti che abbiamo a disposizione per abbozzare una parziale risposta sono di due tipi. Da una parte un opuscolo stampato a Treviso dall’Istituto Tecnico Riccati con i curricoli di “educazione al razzismo” firmati da 21 insegnanti alla fine del 1938. Dall’altra alcuni carteggi, scambiati tra le scuole di Bologna e Modena e i relativi Provveditori, in merito ai materiali da proporre per la Mostra.

La scuola reale: un caso datato 1938.

L’opuscolo dell’Istituto tecnico Riccati di Treviso7 viene stampato il 27 marzo 1940, ma raccoglie testi prodotti in precedenza. Si tratta delle risposte di 21 docenti ad una circolare del preside datata 29 novembre 1938 che chiede “entro quali limiti vi proponete di svolgere nelle rispettive classi la trattazione del problema razziale”. Probabilmente la pubblicazione dell’opuscolo fu decisa in tutta fretta all’inizio del 1940 proprio sapendo che di lì a poco si sarebbe tenuta una mostra sul tema. Nella circolare, stampata in apertura dell’opuscolo, lo zelante preside rammenta ai professori la precedente comunicazione ministeriale che auspicava la diffusione e l’uso della rivista “La difesa della razza” nell’attività didattica:

E’ naturale che il movimento razzista, messo dal Duce all’ordine del giorno della Nazione per integrare quel processo unitario che manterrà il popolo italiano uno di lingua, di religione, di mente, debba non solo essere diffuso nella scuola, ma nella scuola stessa trovare il suo organo più sensibile ed efficace. Nella scuola media il più elevato sviluppo mentale degli adolescenti, già a contatto con la tradizione umanistica attraverso lo studio delle lingue classiche, della storia e della letteratura, consentirà di fissare i capisaldi della dottrina razzista, i suoi fini e i suoi limiti”.

Non sappiamo se nella pubblicazione sono raccolte tutte le risposte, oppure – come pare più probabile – se queste 21 sono quelle scelte tra le altre. Comunque, come è facile immaginare, nessuna delle risposte pubblicate osa contraddire le direttive.

L’insegnante di scienze tratta “sia delle grandi razze umane, sia del popolo italiano e degli indigeni dell’Impero africano, sia delle altre popolazioni europee ed extra-europee” senza dimenticare, tra gli argomenti trattati, la “nobiltà razziale del popolo italiano e il suo giusto orgoglio di razza, la cui purezza va gelosamente difesa contro ibridismi e contaminazioni da parte di elementi razziali inferiori”8. Le scienze sono l’unico insegnamento “biologico” dell’istituto e come tale assolvono la funzione di ribadire il carattere “anche biologico” della campagna razzista. Ma, come già notava Michele Sarfatti, il razzismo fascista nella scuola italiana sembra declinarsi secondo le diverse materie, assumendo ora una caratteristica biologica, ora tratti decisamente culturali e riferimenti nazionalisti9. Così l’insegnante di religione ritiene di cogliere lo spirito “essenzialmente italiano” del Manifesto degli scienziati razzisti tanto che gli “pare di dover insistere ancor più che negli anni precedenti sulla storia delle Chiesa, in riferimento particolare all’Italia” aprendo così “un vastissimo campo per trattare di questa gente italica che ha lasciato una indelebile impronta Cristiano-civile nella valutazione e salvaguardia delle energie sane del Romanesimo, nell’incivilire i barbari, nell’espandere la civiltà italiana con i Missionari” concludendo che “è l’Italia, la terra destinata da Dio ad essere Faro di vera Civiltà”.

Un vasto campo “culturale” di educazione razzista si apre con gli interventi degli insegnanti di materie letterarie, che non negano ma integrano il concetto biologico di razza. Ecco ad esempio come integra i due campi il prof. Bazzo: “lo svolgimento del programma di Storia del corrente anno scolastico mi offre opportunità di mettere in chiara evidenza la diversità tra razza Semitica ed Ariana, nei loro caratteri spirituali e somatici”10. Gran parte di questi interventi poi si concentrano sugli aspetti dell’eredità storico-classica e letteraria che, da motivi di identità e propaganda risorgimentale, sono via via divenuti anche elementi dell’ideologia nazionalistica e poi fascista: “infonderò [negli studenti] l’orgoglio e la fierezza di essere italiani, discendenti dagli antichi Romani che hanno primeggiato con lo spirito e le opere nel mondo”11, o “La civiltà che fu con Augusto signora del mondo e del tempo suo e che, resa cristiana, procedette coi missionari cattolici ad estendere la coltura le leggi la fede di Roma immortale in tutto il mondo, non può ne deve abbassarsi a contaminazioni ed incroci, ad imbastardimenti e a tolleranze etniche e spirituali, scientifiche e colturali che sarebbero tradimento e falsificazione di se stessa”12. Come si vede non mancano punte di violenta e gratuita istigazione alla discriminazione, indirizzata di volta in volta verso ebrei o verso indigeni delle colonie: “Parlerò pure del massimo dei pericoli per la nostra razza: gli Ebrei e perché oggi si cerchi di segregarli da noi”13.

Chi manifesta dei dubbi li limita alle modalità con cui affrontare gli aspetti “biologici” del problema, per non turbare gli adolescenti, ma non rinuncia al compito:

mi permetto anzitutto segnalarvi l’estrema delicatezza del compito che ci viene affidato. Non si può infatti, a mio parere, toccare il problema biologico del quesito e intrattenere la scolaresca sulle importantissime questioni del meticciato e dell’incrocio senza accorgimento e prudenza massima per non turbare la suscettibilità morale e religiosa della scolaresca”. Oppure “Mi pare quindi più opportuno risolvere degnamente il problema infondendo nei ragazzi l’amore per la ginnastica e la coltura fisica” e ancora “Per l’aspetto morale cercherò […] di mettere in rilievo la superiorità fisica, morale e militare della nostra gente e mostrerò l’enorme contributo artistico, religioso, sociale ed umanistico dato dal nostro popolo in tutte le epoche e in tutte le contrade del mondo alla civiltà delle genti”14.

Tutti i docenti mostrano di comprendere che questa svolta (i testi risultano scritti alla fine del 1938) si può innestare nel normale curricolo didattico senza stravolgerlo, riorganizzando conoscenze e contenuti in gran parte presenti negli insegnamenti del tempo ma inquadrandoli sotto il cappello unificante della campagna razzista. Ecco quindi che le uniche lezioni specifiche sono proposte dall’insegnante di scienze o da quelli di diritto (“le norme per la difesa della razza nel nuovo codice civile”15), mentre tutti gli altri riprendono argomentazioni tipiche delle loro materie salvo infarcirle con riferimenti – assolutamente coerente, dal loro punto di vista – ai proclami di regime o alla lotta contro gli “ibridismi”, le “contaminazioni”, gli “imbastardimenti”. Proprio perciò è facile parlarne “appena se ne presti l’occasione, o provocando io stesso questa occasione”16 o “il sottoscritto […] prenderà lo spunto da qualche lezione di italiano e più ancora di storia” o ancora “ho avuto cura sin dal principio dell’anno di cogliere e di sviluppare quegli elementi e quegli spunti che dall’insegnamento delle varie materie mi sono stati offerti man mano”; e alcuni si rendono conto che, in fondo, lo fanno da tempo, come l’insegnante di agraria: “In armonia alle direttive del Regime ho da più anni illustrato ed illustro le leggi e i provvedimenti che il Governo fascista emana per formare la coscienza di razza e per la difesa della razza”17. Infatti molte di queste argomentazioni – a tutela della maternità e dell’infanzia e tutto il sistema di igiene sociale e di prevenzione impiantato dal fascismo – erano state portate avanti negli anni precedenti anche sotto la dizione “difesa della razza”: una formula quindi che sostanzialmente identificava l’insieme delle politiche sociali del fascismo. La scuola, una volta varate le leggi razziali, ebbe un ruolo decisivo nell’operazione di riarticolare culturalmente la costellazione della politica sociale includendovi come componente necessaria proprio la discriminazione e la persecuzione di neri ed ebrei. E, come sostiene Adolfo Mignemi, il ruolo della scuola fu decisivo nel “fissare nella memoria collettiva del paese questo falso ruolo delle politiche sociali del regime che finirono con il rappresentare, data proprio l’imponenza delle stesse, la classica foglia di fico dietro la quale si stemperarono responsabilità e fu consentita una sorta di rimozione non traumatica e la costruzione di un’immagine di razzismo italiano considerabile – ma non sappiamo proprio comprendere come – “dal volto umano” “18.

Le proposte delle scuole di Modena e Bologna nel 1940.

Queste riflessioni mi sembrano confermate anche dai materiali proposti per la mostra del 1940.

Abbiamo innanzitutto i riferimenti alla politica sociale e igienico-sanitaria del fascismo vissuti come parte integrante della politica razziale. Il direttore didattico di Imola propone “fotografie dell’ambulatorio medico esistente nelle scuole del capoluogo e relazione statistica medico sanitaria relativa all’assistenza fatta agli alunni. […] Fotografia di bambini mentre fanno cure (inalazioni, esercizi di inspirazione) sport”19. Il preside del Corso biennale di avviamento professionale di S Giorgio di Piano comunica che ha iniziato da qualche tempo una vera schedatura sanitaria degli allievi e aggiunge: “Questo esperimento ha carattere strettamente riservato e non so se possa presentare qualche interesse per la Mostra della Razza”20. Inoltre emergono i riferimenti all’edilizia scolastica, alle scuole all’aperto (create vent’anni prima dalle giunte di sinistra per prevenire la tubercolosi), ai banchi igienici, alle refezioni… Collegati agli aspetti sociali compaiono numerose proposte di materiali illustranti le attività di orientamento professionale, foto del “lavoro manuale” e oggetti frutto del “lavoro produttivo”, immagini “riproducenti le attività giornaliere della scolaresca nelle esercitazioni di campagna”21 e così via.

Accanto a questi elementi, riferiti agli aspetti sociali con cui si mostra il razzismo fascista, compaiono immancabili i suoi caratteri più direttamente legati alla discriminazione, soprattutto quando si passa a materiali legati alla didattica. Così il Liceo Ginnasio Pico di Mirandola propone una serie di schemi di lezione che probabilmente intendono essere esaustivi dei principali aspetti del razzismo fascista. Tra gli argomenti di tali unità didattiche sono più numerosi quelli di tipo biologico, quasi a fondamento dell’impianto generale (tre lezioni tenute dalla professoressa di biologia sulle leggi di Mendel, sulle differenze razziali e sulla conservazione della purezza della “nostra razza” attraverso l’interdizione dei matrimoni misti). Accanto a questi, però vengono affrontate altre tematiche che, anche se non biologiche, rientrano pienamente nella concezione fascista del razzismo. Prima di tutto la difesa della tradizione culturale e religiosa (la trattazione tenuta dal professore di storia e filosofia dal titolo: “La razza ariana deve respingere ogni sorta di contaminazioni morali e intellettuali…” e quella del professore di religione su “religione tradizionale, famiglia” e maternità); quindi l’esaltazione della famiglia e della maternità e la promozione delle norme igieniche per il miglioramento della cosiddetta “stirpe” (l’insegnante di puericultura presenta una conferenza su “la mamma e il suo bambino” mentre la già nominata professoressa di biologia tematizza “il problema dell’alimentazione nel miglioramento della razza italiana”)22. Nel ciclo di lezioni quindi si ricompone l’impianto generale, complessivo del razzismo fascista, con il fondamento biologico, con i riferimenti alla tradizione culturale nazionale e religiosa, con la proiezione discriminatoria e persecutoria verso ogni possibile “contaminazione”, biologica o culturale.

Un altro esempio nelle proposte dell’Ispettore della II Circostrizione di Modena. In questo documento l’accento è posto sull’edilizia scolastica e sulla promozione di norme igieniche; ma anche qui tali aspetti risultano legati a “materiali espositivi” di diversa impostazione, che “mostrano la superiorità estetica delle nostra razza in confronto con le altre razze”.

Da questi materiali in definitiva si possono trarre due indicazioni: da un lato il fascismo include ed eredita, nell’immagine che fornisce del proprio razzismo, tutti quelle attività (campagne igieniche, antitubercolari, assistenza alla maternità e all’infanzia, educazione fisica, edilizia sociale) di politica sociale a favore della popolazione italiana (in realtà, a favore dello Stato), i quali possono costruire nella popolazione un consenso più vasto che vada al di là del mero odio per le cosiddette razze inferiori; dall’altro lato risulta chiaro che ogni aspetto “propositivo” del razzismo, di tutela sociale o edilizia pubblica che sia, non può essere considerato di per sé ma deve sempre venire letto assieme al suo aspetto complementare, implicito o esplicito, di superiorità rispetto ad altri gruppi; quindi di discriminazione, esclusione, negazione23.

Epilogo

La Mostra della razza all’ultimo momento fu annullata, probabilmente per concentrare gli sforzi propagandistici sull’imminente ingresso in guerra dell’Italia. Così anche la zelante anticipazione dell’E42, ebbe il destino di quest’ultima, di cui rimangono carteggi, progetti, edifici… ma la realizzazione non ebbe luogo. L’Italia ormai era immersa nella catastrofe del conflitto e la vicenda del razzismo procedette sui binari infausti che portavano ai campi di sterminio, senza più attardarsi nella celebrazione della “superiorità italica”.

Oggi, che di questa tragica vicenda ci troviamo a ricordare gli esiti, è a mio parere utile riflettere, come educatori, sull’impegnativo nodo del rapporto tra coscienza e azione, tra principi morali e comportamento.

Oltre sessant’anni fa, di fronte alle leggi razziste, ci fu chi seguì con maggiore o minore entusiasmo la strada del potere; chi si difese – in anni di dittatura – con il silenzio o comunicando di “non avere materiale atto a documentare…”; chi infine rischiò in prima persona fino a perdere il lavoro, a dover scappare o ad essere perseguitato come antifascista. Quasi nessuno di coloro che accettarono, magari controvoglia, di celebrare e insegnare la “razza” fu chiamato a rispondere dei suoi atti. Per costoro l’unico tribunale è stata la coscienza.

Ma – e non si sorrida come di fronte a facile retorica – di fronte agli stessi dilemmi ci troviamo anche noi, ogni giorno. Oggi leggi dello Stato in cui ci troviamo a vivere propongono, con dubbia costituzionalità, di considerare le persone estranee alla comunità europea come uomini e donne dimezzati, privi di diritti e costantemente oggetto di pregiudizio, “non persone”… Oggi, grazie ai sacrifici e alle lotte di uomini e donne, non viviamo in dittatura. Oggi, più di allora, il silenzio degli “educatori” non è sufficiente.

Note

1 Bottai ai Provveditori, 19 febbraio 1940, Arch. di Stato Bologna, fondo Provv. Studi Bo, b. 153 fasc B33.

2 Cfr. Adolfo Mignemi, Profilassi sanitaria e politiche sociali del regime per la ‘tutela della stirpe’. La ‘Mise en scene’ dell’orgoglio di razza, in La menzogna della razza, Grafis, Casalecchio di Reno, 1994.

3 La proposta è del Ministero della Cultura Popolare per “illustrare le origini della nostra razza, le vicende storiche che essa ha attraversato e gli immensi contributi che ripetutamente ha dato alla civiltà mondiale”, Agenzia Stefani del 23 agosto 1939, Arch. Centrale dello Stato, fondo Pres. Cons. Ministri ‘37-39, fasc. 14.1.8147.

4 A mo’ di esempio, così recita la circolare del 22 luglio 1939 “oggetto: Libri di testo per le scuole e direttive razziali. A seguito e integrazione di precedenti disposizioni in materia comunico che, nella revisione dei libri di testo che i revisori stanno attualmente compiendo al fine di adeguarli alle vigenti direttive sulla difesa della razza nella scuola, dovrà curarsi l’eliminazione non solo dei brani di scrittori o poeti di razza ebraica ma anche di tutte le citazioni ed in genere i riferimenti al pensiero di autori ebrei” fondo Provv. Studi Bo, b. 153 fasc B33.

5 PNF, Il secondo libro del fascista, Verona, Mondadori, 1939.

6 Ivi, p. 76, 85 e 88.

7 R. Istituto ‘Riccati’ Treviso, Per la difesa della razza, Longo e Zoppelli, Treviso, 27 marzo 1940. Ripubblicato recentemente su “Diario”, 8 luglio 1998 con introduzione di Michele Sarfatti. Ringrazio Luigi Urettini che me lo aveva segnalato prima che fosse riedito.

8 p. 16-17.

9 Sulle caratteristiche ideologiche delle diverse correnti razziste in lotta per l’egemonia in quegli anni cfr: Mauro Raspanti, I razzismi del fascismo, in La Menzogna della razza, cit.

10 p. 5.

11 p. 7.

12 p. 15-16.

13 p. 5.

14 p. 8-9.

15 p. 13.

16 p. 9.

17 p. 13.

18 A. Mignemi, Profilassi…, cit.

19 Cavalli al Provveditore, 26 febbraio 1940, AdS Bo, Provv. Bo, b. 153 fasc B33.

20 Lettera al Provveditore, 23 febbraio 1940, AdS Bo, Provv. Bo, b. 153 fasc B33.

21 Ist. Agrario Scarabelli di Imola a Provveditore, 24 febbraio 1940, AdS Bo, Provv. Bo, b. 153 fasc B33.

22 Regio Liceo Ginnasio G.Pico Mirandola (Preside A. Campanelli) a Provveditore, 26 febbraio 1940, AdS Mo, Provveditorato, b. 92, fasc. C16.

23 Ispettore scol. di Modena (I circosc.) a Provveditore, 27 febbraio 1940, AdS Mo, Provveditorato, b. 92, fasc. C16.

Nessun commento

I commenti sono chiusi.