Trieste: frontiera della memoria

Intervista allo storico Giovanni Miccoli a cura di Daniela Antoni

Sulla memoria, e non solo, si gioca una partita pesante a Trieste: da un anno e mezzo le amministrazioni comunali e provinciali di centrodestra stanno sistematicamente procedendo alla distruzione del concetto stesso di Repubblica nata dalla Resistenza. Patrocinano convegni dell’associazione “Novecento”, nei quali l’oratore più atteso è un ex volontario francese delle SS; inseriscono nella galleria dei sindaci della città il ritratto di Pagnini, podestà designato dai nazisti; recentemente alcuni esponenti si sono rifiutati di partecipare alla commemorazione di quattro antifascisti sloveni fucilati a Basovizza nel 1930 in esecuzione di una sentenza del “Tribunale speciale per la difesa dello stato”, equiparandoli a terroristi e a brigatisti rossi.

A livello nazionale hanno destato clamore le celebrazioni della Giornata della Memoria e del 25 Aprile dello scorso anno. A gennaio la comunità ebraica, le associazioni dei partigiani e degli ex deportati si sono ritrovate assieme alle istituzioni in Risiera (unico lager nazista dell’Europa meridionale con forno crematorio annesso). Le istituzioni erano rappresentate, oltre che dal sindaco di FI, anche dal deputato Menia di AN, assessore alla cultura nonché Presidente della Commissione del Museo della Risiera, noto in città già dagli anni ’70 sia per le tesi razziste che per le pratiche adottate. Un gruppo di aderenti alla comunità ebraica celebra per protesta la Giornata della Memoria nel cimitero ebraico; migliaia di cittadini che non si rassegnano all’oltraggio dei Martiri della Risiera contestano le “autorità”, protette da un cordone di polizia in entrata ed uscita dal luogo di sterminio. Anche Violante viene fischiato.

Non paghe delle provocazioni in occasione della Giornata della Memoria, le autorità locali rilanciano: non si celebra più il 25 Aprile come festa della Liberazione bensì si onorano in questa data tutte le vittime e i caduti per la libertà. Alla Risiera hanno luogo due manifestazioni distinte: dapprima le istituzioni, di nuovo pesantemente contestate, e poi la manifestazione organizzata dal “Comitato per la difesa dei valori della Resistenza e delle istituzioni democratiche”. Pochi giorni dopo segue il pubblico richiamo di Ciampi alle istituzioni locali.

Che il clima in città sia invivibile e che sia in atto qui una celebrazione del fascismo è testimoniato anche da diversi interventi sia in Italia che all’estero. Il settimanale “Der Spiegel” in un lungo articolo (“L’alleanza di chi cancella le tracce”1) contrappone alla città di ieri quella di “oggi che non vuol più saperne di cosmopolitismo” mentre Claudio Magris interviene ripetutamente sul “Corriere della sera” per denunciare la gravità della situazione. Afferma Magris 2 che “non si tratta di serene revisioni storiche, ma di una sorda apologia dei peggiori aspetti del passato. I confini della decenza si spostano pericolosamente. Alle nostre frontiere orientali diventa problematico o imbarazzante onorare le vittime della Shoah o del fascismo e si riattizzano irresponsabilmente quegli odi nazionali ed etnici che hanno insanguinato e mutilato quelle frontiere e oppresso ferocemente gli slavi e più tardi gli italiani. [….] Responsabile di questa involuzione è una nuova classe – non solo politica – pacchiana, lontana dal fascismo storico e anche dalla sua tragedia e indifferente a ogni valore democratico e civile […] Sarebbe ben triste esser costretti, dinanzi a quest’acqua che sale dai tombini, a ritornare su trincee del passato e a ripetere pateticamente ‘no pasaran’” .

Abbiamo voluto intervistare il prof. Giovanni Miccoli, storico, già direttore del Dipartimento di Storia e Storia dell’Arte della Facoltà di Lettere dell’Università di Trieste, per mettere a fuoco alcuni aspetti del passato e di come si sia arrivati a questo presente, che mistifica la storia a scopo propagandistico.

Daniela Antoni

NOTE

1 E. Schmitter, Allianz der Spurenwischer, “Der Spiegel”, 15 giugno 2002

2 C. Magris, Dovremo ripetere no pasaran?, “Corriere della sera”, 20 novembre 2002


Intervista al prof. Giovanni Miccoli

27 dicembre 2002

Miccoli: Per parlare di razzismo o di atteggiamenti razzistici in queste zone bisogna iniziare dai rapporti tra italiani e sloveni: già gli ultimi anni dell’impero absburgico vedono un violento scontro tra i due nazionalismi. Da parte italiana comincia a raffigurarsi in termini di potenziale razzismo nel momento in cui si sottolinea la superiorità della propria cultura rispetto alla cultura slava o “sciava”, come spregiativamente si diceva, aspetto che si accentua e aggrava nel periodo fascista attraverso lo smantellamento sistematico di tutte le istituzioni culturali e politiche degli sloveni e dei croati della Venezia Giulia, la proibizione dell’uso pubblico della lingua, ecc.

E’ una persecuzione strisciante, che culmina durante la guerra con l’annessione della provincia di Ljubljana. Sono aspetti che hanno pesanti strascichi e contraccolpi anche nel dopoguerra in quella che diventa la persecuzione della componente italiana dell’Istria, l’esodo.

Va ovviamente ricordata la persecuzione degli ebrei, che avviene anche attraverso l’influenza forte a Trieste della memoria della cultura tedesca, in quel momento manifestamente nazista, e che coinvolge, come è noto, largamente forze locali. Per certi aspetti la persecuzione è più forte che altrove, perché a Trieste si verificano episodi particolarmente gravi di violenza, come la profanazione della sinagoga e attacchi verso negozi ebraici.

La complessa vicenda del litorale adriatico, nella prospettiva dell’unione di Trieste alla Germania, trova forze collaborazioniste, che attestano che l’ideologia nazista e i metodi nazisti non costituivano per esse una discriminante. Una discriminante che invece porta forze italiane a combattere il nazismo nonostante si sapesse delle intenzioni di annessione della città da parte del movimento di liberazione jugoslavo. Si dice molte volte che i collaborazionisti intendevano difendere l’italianità della città, ma in realtà non mancano segni che la loro collaborazione comportava l’accettazione di alcuni degli aspetti più odiosi della ideologia e della pratica nazista. Personaggi che collaborano, come il podestà di Trieste Pagnini, in realtà sono già coinvolti nelle campagne antiebraiche ben prima dell’8 settembre in quei circoli tedeschi che i nazisti avevano fondato.

I decenni del secondo dopoguerra sono segnati dalla questione nazionale da una parte e dalla contrapposizione Occidente/Oriente dall’altra, con tutte le pesanti ricadute che questo ha sulla situazione locale: la città eredita la specifica storia di lacerazioni aggravate dalla situazione internazionale, dall’essere cioè, per un certo periodo, avamposto dell’Occidente.[…]

Nel momento in cui si ricorda il collaborazionismo, va ricordata la Risiera. Allora ero un ragazzino ma tutti sapevano, era un luogo comune in città che la Risiera era la fine, figurarsi se le autorità potevano non sapere.[…]

Nel corso dei decenni questa pesantissima eredità è stata in parte lentissimamente superata, nel senso che si è riusciti a realizzare la convivenza tra italiani e sloveni, nella consapevolezza di tutti i guasti che i vari momenti della sanguinosa contrapposizione avevano recato. In questi ultimi anni si nota una riproposizione di aspetti che tendono a riprodurre, rinfocolare la contrapposizione di un tempo.

D: Però anche negli anni ’70 picchiatori e demolitori di monumenti alla resistenza erano attivi, fra questi il deputato Menia.

Miccoli: Malauguratamente a lungo era rimasta presente in città una tradizione fascista e nazionalista che, sia pur in termini minoritari, si era mantenuta in vita sfruttando situazioni dolorose del dopoguerra, come l’esodo dall’Istria.

Le tragedie e le sofferenze denunciate erano reali: 40000 e forse più istriani confluiti e rimasti in città erano per lo più vittime di persecuzione. Ciò dava spazio ad una propaganda nazionalistica e fascista. Tuttavia ha cominciato a prevalere la consapevolezza dei danni già arrecati dallo scontro nazionale, avviando un processo di superamento da entrambe le parti, che in questi ultimi anni rischia di essere messa in gioco.

D: il 14 aprile ’98, proprio a Trieste, Fini e Violante incontrano gli studenti per discutere sul rapporto tra democrazia e identità nazionale. Molti in città si sono sentiti offesi da questo incontro, il cui senso Violante aveva già annunciato nel suo discorso di insediamento come Presidente alla Camera , di come “bisogna sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e della Libertà”.

Miccoli: Non è possibile costruire una memoria condivisa, le memorie restano evidentemente separate: chi ha subito persecuzioni, qualunque sia la parte, non le dimentica. Il vissuto soggettivo tuttavia non può costituire elemento per dare un giudizio storico complessivo sulle forze allora contrapposte. Non va dimenticato infatti che se fosse prevalso il nazismo con i suoi alleati fascisti, le conseguenze sarebbero state catastrofiche per l’Europa tutta. Il problema, se mai, è quello delle prospettive future, che non possono prescindere dalla consapevolezza dell’inciviltà di certe forme di vita politica. Questo, tra l’altro, dovrebbe essere uno dei compiti essenziali della scuola.[…]

Se è utopistico tentare di costruire una memoria condivisa, credo si debba aggiungere che vi è un errore di fondo nel tentativo di cancellare le diverse memorie contrapposte. Esse tuttavia vanno risituate per dir così nel contesto complessivo delle vicende cui si riferiscono. Anche così si può arrivare a capire quanto sbagliate siano state certe strade. Non può dunque non preoccupare vedere oggi riproposti in termini positivi atteggiamenti e personaggi di un passato nefasto. L’inserire Pagnini nella sequenza dei podestà e sindaci legittimi di Trieste costituisce un grave indizio di quanto si sia lontani dall’aver capito ciò che quel passato aveva rappresentato di negativo per la vita della città tutta. Né mancano altri indizi significativi di un revanchismo parafascista che pretende di cancellare i guasti spaventosi che il fascismo ha arrecato a queste terre.

DE perché quindi proprio a Trieste l’incontro Violante- Fini?

Miccoli: Sicuramente l’iniziativa di Violante ha creato sconcerto; ma mi sembra che in seguito egli abbia fatto una mezza autocritica. Del resto si diceva prima dell’impossibilità di costruire una memoria condivisa proprio perché le memorie sono fatti in primo luogo individuali o di gruppo, sono memorie profondamente radicate. Per quanto riguarda il passato, come già si è detto, la diversità delle memorie poco ha a che fare con i rischi che in quel momento l’Europa intera stava correndo, o con il giudizio negativo sui regimi fascisti. Tutto ciò non significa mettere in discussione l’onestà soggettiva delle persone. […]

Anche questo strano recupero dei ragazzi di Salò: anch’io ho conosciuto persone che a 14 anni hanno fatto una scelta per la Repubblica sociale dettata da vari motivi e che soggettivamente sono ed erano persone oneste. Riconoscere però questa onestà soggettiva non significa modificare il giudizio sulla parte che hanno abbracciato: è un giudizio storico, politico. Un giudizio abbastanza scontato che stranamente in quell’incontro veniva in qualche modo accantonato. Violante in effetti non ha mai detto che le parti contrapposte si equivalevano, la portata civile di quella contrapposizione però veniva in qualche modo messa in secondo piano.

Anche in certi discorsi di esponenti locali della sinistra vi è stata una sottolineatura dei valori nazionali che non teneva sufficientemente conto di quanto in queste zone essi si siano manifestati in termini di aggressivo nazionalismo… ragione delle catastrofi avvenute in queste zone.

Alcuni interventi di esponenti dell’area di sinistra sembrano quasi avallare, a proposito delle foibe, l’affermazione che esse rientravano in una prospettiva di genocidio della componente italiana della regione. Si tratta di una forzatura inaccettabile, così come la ricorrente polemica sulla presunta rimozione che delle foibe e dell’esodo si sarebbe verificata nella ricostruzione della storia nazionale. La storiografia locale ne ha scritto ampiamente: superfluo ad esempio ricordare al riguardo le numerose opere stampate nell’arco di questi ultimi decenni dall’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione. Tuttavia alcune altre osservazioni sono opportune. Per queste zone, per chi ha vissuto quelle vicende è stata una terribile tragedia. Rapportata però alla tragedia collettiva dell’Europa resta un episodio minore. L’esodo dall’Istria ha coinvolto tra le 250 e le 300 mila persone mentre, ad esempio, gli spostamenti, gli esodi di popolazione dai vari paesi dell’Europa orientale, in particolare verso la Germania, sono stati spostamenti di milioni di persone. Prima ancora c’erano state le deportazioni, anch’esse in termini di milioni. Le foibe sono state certamente una forma selvaggia di vendetta e di rivalsa, avveniva in un contesto di guerra e di immediato dopoguerra contrassegnato qui come altrove da violenze indicibili. Presentarle quindi come un tentativo di genocidio, parola che suggerisce un programma e una volontà sistematica di eliminazione e che va usata quindi con la piena consapevolezza di ciò che questo significa, è una forma di mera propaganda, a cui esponenti della sinistra si sono prestati.

D: Le celebrazioni divise il 25 aprile, le istituzioni cittadine che onorano in Risiera “tutti i caduti” salvo poi essere riprese dal presidente Ciampi.

Miccoli: Le autorità comunali dimostrano totale inconsapevolezza sul significato complessivo, di liberazione da un pericolo estremo, di quella data. Credo si possa dire che il sindaco dopo i richiami del presidente Ciampi si sia penosamente arrampicato sugli specchi.

È evidente che allora l’arrivo in città del IX Corpus jugoslavo è stato un vero trauma per un’ampia parte della città e sarebbe insensato negarlo. Ma oggi limitarsi a enfatizzare questo aspetto, dimenticando il significato e l’importanza complessiva che quegli eventi hanno avuto per l’Italia e per l’Europa è indizio di un localismo e provincialismo terribilmente ottuso. Nell’attuale amministrazione c’è questo aspetto di volgarità. Non sembra siano le autorità municipali di una città che ha un suo decoro, un suo passato, una sua tradizione civile e culturale, anche se con molte pecche e cadute: sembrano gli esponenti di un piccolo borgo di provincia. Il discorso sarà anche elitario e aristocratico ma questa amministrazione sembra davvero incapace di corrispondere agli aspetti migliori della nostra storia locale. Non si può dimenticare che la catastrofe per Trieste è stata quella di farsi travolgere dagli scontri nazionali, di tradire il senso della sua storia multiculturale, multietnica anche se nettamente con impronta italiana.

D: Il nuovo asilo nido solo per bambini italiani sul Carso è stato definito una forma di apartheid. Siamo oltre alla mancanza di gusto, siamo forse un laboratorio di qualcosa d’altro? Altri sindaci avevano tentato commemorazioni per tutti i caduti, qui è stato particolarmente eclatante e ci si chiede se in questa forma estrema, che riesce a sposare volgarità e provincialismo bieco, non stiano passando momenti di offesa per il cittadino, per i suoi diritti.

Miccoli: Per quanto riguarda queste zone c’è il riproporsi, molto più accentuatamente che in altri luoghi d’Italia, di forme di revanchismo della componente fascista . Negli esponenti locali di Alleanza Nazionale si avverte tutta l’eredità fascista; la pretesa di aver lasciato il fascismo – e il fascismo di Salò in particolare – dietro alle spalle qui è molto meno sostenibile o non è sostenibile affatto. Qui è tuttora operante e rivendicata la memoria del fascismo: qui c’è il suo nocciolo duro.

Ciò che però avviene sul piano nazionale mi pare anche peggio, come segno di un lento e progressivo sgretolarsi dello Stato di diritto. Consideriamo quanto avviene per ciò che riguarda gli immigrati: ad esempio, su questo confine, i tempi di espulsione degli immigranti sono clamorosamente rapidi. Sono definiti clandestini nel senso che arrivano senza permesso di soggiorno, si può pensare anche che cerchino semplicemente un rifugio. Almeno in apparenza nulla di tutto questo viene preso in considerazione ed essi vengono rispediti a casa spesso senza passare attraverso il previsto canale della magistratura. Sono asprezze che si manifestano a livello locale ma che corrispondono evidentemente a criteri nazionali (tutta una serie di leggi varate dall’attuale maggioranza mettono in discussione o incrinano aspetti elementari di uguaglianza di fronte alla legge, dal falso in bilancio alle rogatorie internazionali passando per la legge Cirami).

D: Una serie di letture della storia che hanno contribuito a demolire l’idea di uno stato di diritto nato dalla Resistenza. E ci si ritrova con esponenti dell’amministrazione cittadina che si rifiutano di rendere omaggio ai fucilati di Basovizza , con Alleanza Nazionale che rivaluta pubblicamente le sentenze del tribunale speciale fascista e paragona i fucilati di allora alle BR.

Miccoli: L’accostamento alle BR non ha fondamento. Si trattava di forme di lotta armata che rispondevano a situazioni di pesante oppressione. L’atto terroristico era una risposta, avveniva in un contesto di pesantissima oppressione politica e nazionale per la popolazione slovena e croata. Il capire non significa giustificare: ogni forma di terrorismo è una forma sbagliata di lotta, da condannare, però ogni atto va inserito nel contesto in cui lo si compie. Se si dimentica ciò che quel contesto rappresentava per la vita di intere popolazioni, allora non si capisce nulla di ciò che è avvenuto. Se si prescinde da tutto questo è chiaro che è sottilmente in opera un tentativo di recupero del regime fascista. I fucilati di Basovizza erano in quel contesto vittime anch’essi dell’oppressione fascista.

Il linea generale si può dire che stiamo assistendo alla riproposizione più o meno consapevole di tensioni e contrasti che si potevano ritenere sostanzialmente superati.

Anche per quel che riguarda la questione dei beni abbandonati dagli italiani dell’Istria: non si riflette affatto che se essa venisse riproposta negli stessi termini sul piano europeo per ciò che riguarda le molte situazioni analoghe costituirebbe un fattore di dirompente destabilizzazione. Si pensi alle relazioni tra Germania e Polonia o tra Polonia e Russia. Qui, con piena inconsapevolezza e incoscienza, si continuano a battere i tamburi su questo concetto. È una forma di ottuso provincialismo o di pesante provocazione su cui sembra che la sinistra non abbia niente da dire.

È evidente che queste forme di arroganza, provocazione, rivalutazione di atteggiamenti del passato e rivendicazione degli atti compiuti dal regime fascista rischiano di avere come contraccolpo un riemergere negli ambienti della minoranza di posizioni antagonistiche. Ogni nazionalismo e ogni sopraffazione portano all’emergere di un altro nazionalismo. Si rischia di formare una catena.

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