Articoli sulle mobilitazioni per il Tempo Pieno da “L’Espresso” e da “l’Unità”

Da “L’espresso”, 3 luglio 2003

SCUOLA / L’ULTIMO SCONTRO

Protesta a tempo pieno

Insegnanti e genitori uniti: contro la riduzione dell’orario

di Andrea Benvenuti


Tutto è nato per colpa di un manipolo di insegnanti che ha dichiarato guerra al ministro dell’Istruzione e si è messo in testa di impedire l’avvio della riforma. Che, dal prossimo settembre, prevede due novità: da un lato, l’iscrizione anticipata alla materna e alle elementari rispettivamente di bambini di due anni e mezzo e di cinque anni e mezzo; dall’altro, l’eliminazione graduale del tempo pieno.

I detrattori di Letizia Moratti le hanno tentato proprio tutte: manifestazioni, assemblee, sit-in, scioperi e proteste. Senza risultati. L’onda lunga della riforma è andata avanti, ha travolto, uno a uno, tutti gli ostacoli ed è arrivata in Parlamento per l’approvazione finale. Nonostante i problemi di copertura finanziaria e il parere negativo di sindacati, associazioni di categoria ed enti locali. “Adesso però, dicono i protestatari, “le cose potrebbero cambiare”. Non tanto nei convincimenti del governo. Quanto nel fronte della mobilitazione. E quella che sembrava l’azione ostinata dei soliti gruppettari rischia di rovinare l’estate al ministro dell’Istruzione e di mettere a repentaglio la tranquilla riapertura delle scuole a settembre.

Sul banco degli imputati è il nodo della riduzione del tempo scuola. Attualmente, nelle elementari che applicano il tempo pieno (il 24 per cento del totale), l’orario è di 40 ore settimanali. Con la riforma si passerebbe a 24 ore più tre opzionali e alcuni servizi, dalla mensa all’animazione pomeridiana, verrebbero affidati a imprese esterne. “E la fine del modello di scuola comunità”, sostiene Gianluca Gabrielli del Coordinamento bolognese di difesa del tempo pieno: “I bambini sarebbero affidati a operatori esterni e i genitori che lavorano o hanno problemi a tenere con sé i figli dovrebbero pagare di più”.

La chiave del successo della rivolta è l’alleanza tra insegnanti e genitori. I primi preoccupati dai tagli agli organici e dall’introduzione della figura del maestro prevalente (una sorta di tutor che fa da coordinatore di tutti gli altri insegnanti, con conseguenti conflitti interni alla categoria sul fronte della carriera e della retribuzione); i secondi dalle conseguenze che la riforma avrebbe sull’organizzazione di orari e bilancio familiare. Contro le novità della riforma, sono state raccolte 20 mila firme in pochi mesi. Gruppi spontanei stanno spuntando in tutte le città: Torino, Milano, Padova, Venezia, Bergamo e Milano, Salerno, Foggia, Cagliari. “Difficile stargli dietro”, afferma Gabrielli.

A Trieste, per esempio, le cinque scuoIe più grandi del tempo pieno hanno aderito alla protesta dopo lunghe assemblee a cui hanno partecipato centinaia di genitori; a Bologna, la rivolta è partita dalla scuola Fortuzzi; a Roma si sono mobilitati insegnanti e genitori di quattro circoli didattici tra cui il primo circolo Maffi e quello della Maglìana. “E le adesioni continuano a moltiplicarsi. La protesta esploderà a settembre”, sostiene Gabriella Tull, triestina. Intanto, dopo una prima fase spontanea è nato un coordinamento a cui aderiscono sigle note dell’antagonismo scolastico: dal Gruppo dei 500 al Gasp (Genitori attivi per la scuola pubblica), dall’Mce (Movimento di cooperazione educativa) al Cesp (Centro studi per la scuola pubblica), fino a Cobas e Scuola e Costituzione.

I protestatari si sono dati appuntamento per il 27 settembre: giornata nazionale della difesa del tempo pieno. Sono previste assemblee, manifestazioni e occupazioni. E, una volta tanto, insegnanti, genitori e studenti si ritroveranno dalla stessa parte della barricata.


Da “l’Unità”, 2 luglio 2003

Moratti – Il tempo vuoto

di Marina Boscaino

Innanzitutto una precisazione: le norme approvate con la legge n. 53 del 28 marzo 2003 – la riforma, o meglio, la Controriforma Moratti – sono estremamente generali. Gli aspetti concreti del provvedimento verranno definiti attraverso decreti attuativi che il Consiglio dei ministri può emettere entro due anni. In caso ciò non avvenisse, la legge decadrebbe.

Recentemente è stata presentata una bozza, non ancora approvata, del primo decreto attuativo, “definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione”.

Quella di “controriforma” non è una provocatoria definizione a effetto.

Chiunque abbia a cuore il destino della scuola pubblica e il suo ruolo di potente strumento di pari opportunità e di veicolo di democrazia nella società italiana non può rimanere indifferente nel constatare quanto la legge segni un radicale passo indietro nell’organizzazione e nella concezione stessa del sistema dell’istruzione pubblica. Sono numerosi gli aspetti dubbi e incondivisibili di quella legge, sulla quale una parte consistente del mondo sindacale (Cgil e Cobas in primo luogo), delle associazioni di categoria e degli enti locali si è pronunciata in termini totalmente negativi; sulla quale i lavoratori della scuola – non interpellati hanno cercato di esprimere la propria disapprovazione, attraverso scioperi e mobilitazioni di varia natura; alla quale, infine, gran parte del mondo studentesco ha opposto perplessità e resistenze, anch’esse inascoltate. La sordità di Viale Trastevere a tutte le voci contrarie alla riforma che si sono levate e si levano numerose risulta inquietante e surreale, soprattutto considerando l’incredibile quantità di spot pubblicitari che in questo periodo dilagano per radio e TV, celebrando i fasti della legge approvata in marzo. Bugie patinate che, a suon di decine di migliaia di euro, cercano di comprare il consenso per un provvedimento che non convince quasi nessuno. Euro che più civilmente la Moratti potrebbe destinare al sostegno, ad evitare tagli nel personale o l’intasamento delle classi, all’edilizia scolastica, a finanziare progetti efficaci contro la dispersione scolastica, specie nelle zone a rischio del nostro Paese.

Ma qualcosa sta cambiando, a dispetto del caldo insopportabile e dell’insopportabile strategia pubblicitaria che il ministero sta attuando nella convinzione tutta berlusconiana – che la coscienza critica dell’italiano medio si lasci narcotizzare da qualche immagine ammiccante e mendace. Non ha fatto i conti, il ministro Moratti, con il fatto questo sì, sostanziale che la legge 271 del 1970 che ha istituito nella scuola pubblica il tempo pieno ha segnato una tappa di civiltà talmente profonda nel percorso dell’istruzione pubblica italiana da diventare un diritto acquisito ed intoccabile. Che pochi sono disposti a vedere cancellato con un incurante colpo di spugna. La bozza di decreto prevede che il tempo scuola alle elementari verrebbe ridotto dalle attuali 40 ore del tempo pieno (3C del tempo “normale”) a 27 ore settimanali più 3 ore facoltative ed opzionali. Su questo tema si sta con raccordo tra i vari comitati e il confronto costante con le altre municipalità coinvolte nel movimento. Che potrebbe in questa solidarietà di intenti tra famiglie e docenti -rappresentare uno stimolo ulteriore per la Sinistra per riavvicinarsi al mondo della scuola, talvolta considerato di secondaria importanza e di competenza esclusiva degli “addetti ai lavori”.

Impoverire il sistema dell’istruzione significa impoverire la democrazia nel Paese: è questa l’emergenza alla quale siamo tutti chiamati a far fronte. E la minaccia al tempo pieno ne è uno degli esempi più significativi. Si disconosce l’efficacia di un modello pedagogico e didattico irrinunciabile, che ha impegnato per anni gli insegnanti a rivedere il loro modo di lavorare, consentendo dì sperimentare la possibilità di offrire stimoli più omogenei in tempi più distesi e un metodo individualizzato che rispettasse realmente i tempi di apprendimento di ogni bimbo, creando nel contempo attraverso una presenza continuata e uno spazio da condividere a lungo – rapporti affettivi più autentici. L’istituzione del tempo pieno ha consentito una soluzione insostituibile ai bisogni sociali pressanti che si sono concretizzati negli ultimi 30 anni: una copertura pregiata dedicata al lavoro all’interno del nucleo familiare e il riconoscimento del diritto delle madri di lavorare fuori delle mura domestiche con la garanzia che i figli non venissero parcheggiati in un doposcuola, ma usufruissero di un effettivo tempo scuola di qualità, anche nelle ore pomeridiane.

Nonostante la legge lo preveda qualora i genitori ne facciano richiesta, solo 550 mila bambini frequentano il tempo pieno. Il numero sarebbe ancora più alto se l’amministrazione non calcolasse gli organici senza distinguere quante classi saranno a tempo pieno e quante a modulo: in questo modo molte famiglie vedono la loro richiesta rifiutata e devono “ripiegare” sul modulo o rivolgersi alle scuole private.

Essere dalla parte della democrazia significa spesso, in questo brutto periodo della nostra storia, lottare per sovvertire completamente le delibere del governo. L’innalzamento fino a 18 anni dell’obbligo scolastico, là dove la legge 53/2003 lo ha abbassato di due anni, e la diffusione ulteriore del tempo pieno, contro il tentativo di soppressione di questo istituto da parte dell’Esecutivo, sono obiettivi di pari opportunità e civiltà che ancora possono essere perseguiti dal mondo della scuola e dalla società. Con quella pessima legge ben poco viene stabilito. Mancano i decreti attuativi. Un’iniziativa convinta che coinvolga mondo della scuola e famiglie può ancora fare molto.

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