Corso di formazione sulla lingua, sulla cultura e sulla vita quotidiana delle genti italiane ed europee di origine sinti e rom(romanì)

promosso da Cesp (Centro studi per la Scuola pubblica) e l’MCE (Movimento di cooperazione educativa) in cooperazione con la Libera comune Università – Pluriversità Bolognina

Trattasi di un corso di auto-formazione per docenti dalle primarie alle secondarie, aperto alla partecipazione degli operatori culturali ed interculturali che operano come educatori e mediatori tra scuola e comunità Sinti e Rom.

6 incontri di 2 ore dal 17 novembre 2016 al 20 aprile 2017

presso: “Sala blu” – Centro civico Marco Polo, via Marco Polo 53 – Navile (autobus 11 a/b)


Pdf del corso

CALENDARIO DEL CORSO (a.s. 2016-2017):

  • giovedì 17 novembre 2016 dalle ore 16,30 alle 18,30: presentazione del corso da parte di Pino De March di comunimappe, Maria Bianca Cattabriga del MCE -Movimento di Cooperazione Educativa e Matteo Vescovi del Cesp – Centro Studi per la Scuola Pubblica. Seguirà presentazione del volume di “Spigolare parole, rubare sguardi. Conversazione con i Rom e Sinti.” con l’autore Dimitris Argiropolus. A seguito, racconti e vissuti di due mediatori culturali Aghiran e Tomas, appartenenti al popolo Sinti e Rom.
  • venerdì 16 dicembre 2016 dalle ore 16,30 alle 18,30: il valore simbolico della lingua e della cultura per l’identità delle minoranze italiane ed europee Rom e Sinti, come per i migranti provenienti dal resto del mondo. Relazione e conversazione con Angelo Arlati (linguista culture Romanì), Giovanni De Plato (docente e psichiatra esperto servizi socio-sanitari), i mediatori culturali Tomas e Aghiran, appartenenti al popolo Sinti e Rom della citta’ metropolitana di Bologna.
  • giovedì 19 gennaio 2017 dalle ore 16,30 alle 18,30: persecuzione nazi-fascista, sterminio o porajmos e resistenza dei Rom e Sinti. Nascita delle costituzioni democratiche e delle legislazioni che tutelano l’esistenza delle minoranze linguistiche e culturali. Interverranno: Gabriele Roccheggiani (ricercatore del Dipartimento di Economia Società Politica dell’Università di Urbino) sull’intreccio tra persecuzione, tutela e emergenza: La “questione rom” tra discriminazione e diritti. Mario Abibezzi, Sergio Andena e Carlo Cuomo del CIPES (Centro Iniziativa Politica e Sociale) di Milano. Esperienze dirette di due mediatori culturali Tomas e Aghiran, appartenenti al popolo Sinti e Rom della città metropolitana di Bologna. Lettura di alcune pagine del libro “Circo capovolto” con l’autrice Milena Magnani.
  • giovedì 16 febbraio 2017 dalle ore 16,30 alle 18,30: la musica Rom e Sinti e la sua influenza sulla musica contemporanea. Relaziona Salvatore Panu, musicista e musicologo. Conversazioni ed esecuzioni musicali con Dragran Nicolic e Aghiran, ballerino appartenente al popolo Rom di Bologna città metropolitana.
  • giovedì 16 marzo 2017 dalle ore 16,30 alle 18,30: la storia, la letteratura e la poesia Rom e Sinti e la sua influenza sulla letteratura contemporanea. Fabien Bassetti, storico delle culture romanì, Tomas, mediatore culturale Sinti e Pino De March, psicologo relazionali umane e ricercatore attivo di poesia e letteratura di strada, migrante e marginale; presentazione del libro di Majgull Axelsson, “Io non sono Mirian”, edizioni Iperborea
  • giovedì 20 aprile 2017 dalle ore 16,30 alle 18,30: il teatro, il cinema, le arti, il circo e gli spettacoli viaggianti di strada. Relazione e conversazione con Milena Magnani, autrice del libro “Circo capovolto”, edizioni Feltrinelli Fuori catalogo e Serena Raggi Luna, artista che mescola diverse arti e culture – pittura olio-acrilico, indian ink, matita.

con il materiale prodotto si realizzerà un numero speciale di “Inchiesta” Edizioni Dedalo ed estratti per la rivista “Cooperazione educativa” del Movimento Educazione Cooperativa, ed. Erickson.


Presentazione a cura di Pino De March

Il progetto di formazione partecipata nasce dall’esigenza di trovare terreni comuni di comunicazione e relazione, ma soprattutto di valorizzazione delle specifiche e molteplici forme culturali e linguistiche in cui siamo immersi. Tutto parte da alcune mie esperienze personali legate a territori frequentati per nascita, socialità e studio in una regione di confine, il Friuli Venezia Giulia, ove sono presenti differenti minoranze etno-linguistiche (friulane, slovene e venete) e da anni di docenza di comunicazione e relazione in una scuola superiore della nostra città Bologna, ove erano presenti studenti e studentesse di etnia Romanes (Sinti e Rom), oltre che da riflessioni tratte da esperienze ed incontri nella nostra città con variegati mondi culturali paralleli ed intrecciati, mondi propri di minoranze etno-linguistiche italiane ed europee, territoriali e non territoriali.
Con il termine “non territoriali” non intendo persone appartenenti a minoranze straniere o extra-europee, ma mi riferisco a minoranze italiane ed europee, sia esse ebraiche o romanes (Rom e Sinti), che abitano ormai da secoli i territori europei anche se non diffusamente come gli sloveni in Friuli Venezia Giulia, o i tedeschi in Alto Adige, o i francesi di Valle d’Aosta con proprie istituzioni autonome, politiche, culturali educative ed istruttive, ma a macchia di leopardo, relegati in ghetti o campi e più recentemente anche in micro-aree o appartamenti privati o pubblici.

In una recente video-intervista realizzata da alcuni mediatori culturali e comunicativi della comunità Rom e Sinti di Bologna, Dario Fo affermava che le culture nazionali ed europee devono molto alle culture nomadi Romanì e per questo le genti romanes dovrebbero essere orgogliose della loro cultura e operare insieme per farla emergere e riconoscere in tutti gli ambiti di vita sociale e culturale, accettando anche che siano analizzati quegli aspetti negativi che li riguardano e questo significherebbe, come prima cosa, mettere in discussione non solo ciò che li discrimina dall’esterno come l’esclusione e l’isolamento, ma anche ciò che dall’interno li mantiene separati attraverso l’accettazione della ghettizzazione come strategia di sopravvivenza motivata dalle permanenti discriminazioni, che hanno come conseguenza il rifiuto di qualsiasi contatto con i “Gagè” (cioè coloro che non appartengono alle loro comunità romanes), visti un po’ tutti come altro da sé.

Negli ultimi anni da entrambe le parti cominciano a emergere figure di mediatori culturali romanes e gagè che costruiscono terreni comuni di relazione, socializzazione e ricerca al fine di far emergere questo mondo variegato sociale e culturale spesso celato, dissimulato, osteggiato, che solo in rarissimi casi era riuscito a emergere e quasi sempre in forma inappropriata, romantica ed immaginaria nella letteratura come in altre arti , ma mai nella sua reale condizione di mondo di umani e di genti italiane ed europee con propri universi culturali che popolano da secoli le nostre estreme periferie. In questo senso e cioè nella direzione di creare un terreno culturale comune, la scuola è sicuramente il luogo in cui è possibile lavorare avendo presenti le prossime generazioni di cittadine e cittadini italiani e europei.

Come docente, in servizio ormai alcuni anni fa (non ora che sono in pensione e non a riposo), mi sono trovato ad insegnare alle superiori a ragazzi e ragazze romanes (Rom e Sinti). A dire la verità le occasioni sono state rare anche perché normalmente la frequenza scolastica di questi alunni si dirada lungo il corso della scuola dell’obbligo, fino a interrompersi per molti di loro alle medie inferiori e questo accade nonostante che l’obbligo e le esigenze di formazione culturale e professionale incentivino a continuare gli studi. Inoltre, per tutto il periodo scolastico l’identità linguistico-culturale di questi miei studenti rimaneva celata, come la loro vita quotidiana, e tanto meno veniva esplicitata la loro appartenenza a comunità “romanes.” Tutto rimaneva coperto da “segreti professionali” e da segreti “personali” e mai accadeva che questi ragazzi e ragazze rivelassero la loro “identità romanes”, né ai docenti, né ai loro compagni e compagne di classe, temendone con ogni probabilità la discriminazione che vivevano ovunque andassero o abitassero fin dalla nascita. In quegli anni di docenza di psicologia della comunicazione e relazione mi ero posto l’impegno di lottare contro le discriminazioni etno-culturali e i pregiudizi di ogni genere, sessuali o culturali, ma mai avevo fino in fondo analizzato il problema di come si sentiva a scuola un ragazzo o ragazza romanes Rom o Sinti, immerso in una cultura, storia e lingua che non gli appartiene, se non parzialmente.

La cultura, la lingua e la storia sociale romanì, Rom o Sinti, rimane per questi ragazzi e ragazze presente nella sfera della famiglia o della comunità d’appartenenza, ma mai accade che le didattiche scolastiche o i programmi preventivi d’inizio anno includano o richiamino implicitamente o esplicitamente alla memoria culturale del docente l’esigenza d’introdurre elementi della cultura, della lingua e della letteratura romanì, come accade per altre culture e minoranze territoriali (quelli delle regioni autonome), o non territoriali (ebraica, sarda o meridionale). E tanto meno si fa cenno nei libri di testo o negli appunti dei docenti che la lingua e la cultura Romanì appartengono di fatto alle lingue e culture europee, ed inoltre, che queste minoranze ormai da secoli sono presenti in Europa (fin dal XV secolo) come le altre minoranze con culture maggiori o minori, ma riconosciute. Per evitare poi che le maggioranze etno-linguistiche dominanti nei territori continuino a ripetere, con l’ignoranza storica e culturale che spesso li caratterizza, che queste minoranze non territoriali Rom e Sinti “non sono europee e tanto meno italiane.”

E questa ignoranza è spesso dovuta alla mancanza di conoscenza personale, ma anche al fatto che nelle scuole italiane non sono presenti programmi che evidenzino la composizione plurilinguistica e pluriculturale della cultura pluriversa europea ed italiana, che deve comprendere anche quella dei romanì, in quanto la cultura dei romanes ha influenzato di fatto molta della cultura Europea in svariati ambiti: la musica, l’arte, il teatro, il cinema, la letteratura, la poesia, le attività circensi e lo spettacolo in genere. Inoltre, è importante che un bambino o bambina, ragazzo o ragazza romanes (Rom o Sinti), possa riconoscersi nelle variegate didattiche che vengono proposte a scuola. La sua specifica cultura dei romanes deve essere riconosciuta come parte di questa Europa pluriculturale e plurilinguistica e dell’immenso patrimonio culturale dell’umanità, e chi si riconosce in essa non deve essere identificato come appartenente ad un gruppo privo di cultura e portatore di disagio.

Dal quadro appena abbozzato, emerge con chiarezza che, mentre alcune minoranze italiane ed europee possono salvaguardare la propria lingua e cultura, perché viene loro attribuito dalle Costituzioni il potere di autogovernarsi attraverso proprie Autonomie Locali e a loro volta istituire scuole di ogni ordine e grado nella propria lingua di minoranza nei territori da loro abitati, altre minoranze etno-linguistiche, per scarsi mezzi o per dispersione abitativa, non riescono a fare altrettanto, anche se cominciano a emergere aggregazioni culturali indipendenti e autofinanziate delle federazioni di lingua Romanì italiane ed europee presenti nel territorio italiano. Esempi di questa attività possono essere la rivista “Roma – Cultural Magazine” e le pagine Facebook dei Sinti italiani. Alle minoranze dei romanes (Rom e Sinti) viene offerto dall’attuale Sistema Scolastico Nazionale e locale, a causa di una restrittiva interpretazione dell’art. 6 della Costituzione, la possibilità di non essere discriminati linguisticamente, permettendo e obbligando loro di frequentare le scuole italiane dalla primaria alle secondarie al pari di tutte e tutti coloro che risiedono nel territorio italiano, fossero pure migranti e stranieri.
All’interno di queste istituzioni scolastiche, però, essi, che pure appartengono a pieno titolo alla cultura italiana e europea, non ritrovano nulla, neppure per cenni, della loro cultura e lingua, andando incontro ad un vero e proprio processo di assimilazione linguistico e culturale.

Da queste esperienze, riflessioni e letture specifiche ho via via maturato l’importanza delle varie lingue e culture e la necessità che non si estinguano. Non solo perché, come dice un detto popolare, “quando muore una lingua e una cultura è come scomparisse o bruciasse una foresta”, ma per il ruolo che esse rappresentano per la formazione e l’evoluzione dell’identità degli appartenenti a quello specifico nucleo etno-linguistico. Si tratta non solo di culture nazional-popolari dominanti politicamente e linguisticamente (italiano, francese ecc), ma di genti minori europee ed italiane, nel nostro caso Romanes (Rom Sinti), che spesso vivono, come altri migranti extra-europei, una forte marginalità sociale accompagnata ad una crescente ostilità da parte delle popolazioni di lunga stanzialità (quelli della stessa regione) o di nuova stanzialità frutto di migrazioni interne al paese (italiani di altre regioni), e che possono assumere l’aspetto di campagne mediatiche e politiche contro la presenza di Rom, Sinti o migranti nei territori della città, fino alle manifestazioni violente di gruppi di abitanti locali che possono giungere anche alla devastazione delle strutture abitative o delle infrastrutture delle aree che ospitano gente romanes e che, senza arrivare per il momento agli estremi della violenza esplicita e organizzata contro le persone, presentano in potenza tutte le caratteristiche del pogrom.

I “pogrom” (il termine deriva dalle sollevazioni popolari contro le comunità ebraiche nella Russia zarista), o manifestazioni di varia natura vengono agite contro queste minoranze non territoriali (migranti non comunitari e Romanes comunitari) da forze politiche e sociali prevalentemente di orientamento populista, localista o nazionalista, che partendo dal pretesto di fenomeni isolati di violenza contro le persone o i patrimoni, smuovono mobilitazioni sociali non per comprendere e trovare soluzioni ai problemi che insorgono a seguito delle conflittualità relazionali che si radicano in una perdurante e sistematica condizione di emarginazione forzata, ma per operare generalizzazioni e discriminazioni contro tutti gli appartenenti a quel gruppo etno-linguistico, in modo razziale, identificando tutti e tutte, tout court come “nemici e portatori di insicurezza.”
Per rendere chiaro lo stigma che vivono queste popolazioni comunitarie europee non territoriali Rom e Sinti, voglio semplificare con un esempio i ricorrenti pregiudizi nella vox populi e in una parte dell’opinione pubblica mainstream (stampa, radio-televisioni) o new media: se a commettere un reato patrimoniale o personale è un Rom o Sinti (o zingaro nella vulgata popolare), sono tutti “gli zingari” a farlo, se invece è un comunitario a farlo, italiano o svedese che sia, è un singolo che lo fa. Per questi ultimi la responsabilità rimane personale. Al contrario, ogni essere umano, come ogni gruppo etno-linguistico, deve essere considerato nella sua umana ambivalenza, in quanto portatore di possibilità di relazioni costruttive (“buona-vita”) o di pericolo e di relazioni distruttive (“mala-vita”). Per questo, nessun essere umano o gruppo etno-linguistico può essere identificato a priori come pericoloso, solo perché qualcuno dei suoi affini culturali o parentali conduce una “mala-vita”. Chi fa questa operazione di riduzione è un razzista ed un pericoloso portatore di discordia sociale ed umana. Come sosteneva un sociologo berlinese d’inizio secolo George Simmel, scandalizzando i suoi contemporanei, non è delinquente il miserabile, ma la miseria in cui è costretto dal sistema di ingiustizia sociale a vivere o sopravvivere.


Dal blog: http://comunimappe.blogpot.com/

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